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L’INTER REGALA LO SCUDETTO ALLA JUVENTUS
Neanche uno dei più esperti e cinici maghi del “thriller” avrebbe potuto immaginare un finale così. Proprio l’Inter, la nemica di sempre, aggrappata a quei due scudetti che Calciopoli le ha regalato con troppa superficialità forse e su cui FIGC e CONI si sono dichiarati “incompetenti” a prendere una decisione, ha attaccato sulle maglie dell’inbattuta Juventus lo scudetto che in bianconeri considerano il n. 30 e le istituzioni il n. 28.
Una sorta di risarcimento che sa di soprannaturale, dopo le polemiche che hanno infiammato le vigilie dei due confronti diretti e le punzecchiature che i due ambienti si sono a pià riprese indirizzati. A questo punto si può ritenere mandato dal cielo persino lo stop sbagliato da Buffon contro il Lecce e che aveva portato a rinviare ulteriormente la chiusura della vicenda scudetto ed aveva procurato notti insonni ad Antonio Conte, al portierone campione del mondo ed a tanti giocatori bianconeri.
Tutto invece si è concluso nel migliore dei modi (secondo la sponda juventina, naturalmente) ed ha dato al campionato quel pizzico di suspense rinvigorendo la sua credibilità compromessa dalle pesanti indagini della Magistratura sul mondo delle scommesse clandestine. Sì, è stato un campionato vero, come confermano le sconfitte del Napoli ed i pareggi della Roma, le vittorie consecutive del Parma e l’altalena del risultato del derby di San Siro che ha fatto sorridere Stramaccioni e Moratti e masticare amaro Allegri e Galliani.
Ma il miracolo resta quello della Juve, su cui – dopo due amari settimi posti, e guidata da un giovane allenatore che nell’unica esperienza di serie A era andato incontro ad un’amaro esonero – nessuno avrebbe scommeso un euro ad inizio di stagione. Ed invece la Juve è arrivata allo scudetto con un turno di anticipo, senza aver perso una sola partita (se non perderà domenica contro l’Atalanta compirà un’impresa senza precedenti nel nostro campionato), una Juve che ha mostrato il più bel gioco del torneo e che ha mandato a rete ben 18 giocatori. Una Juve cui Antonio Conte ha inculcato la mentalità vincente – testimoniata fin dall’inizio dall’abolizione dei rinvii del portiere, che gioca la palla come tutti gli altri giocatori – che ha saputo scegliere i giocatori più animati da entusiasmo e voglia di vincere, che non ha esitato a modificare le proprie idee tattiche per escogitarne di diverse, più confacenti alle caratteristiche dei giocatori a sua disposizione, che non ha esitato ad ibernare giocatori anche di nome ma poco disposti al sacrificio e ad inserirsi nel collettivo. Un allenatore che ha predicato sempre la disciplina del lavoro.
Da qui è nato lo spirito di gruppo che alla lunga, sull’asse Vidal-Pirlo-Marchisio si è dimostrato sempre più convincente e soprattutto vincente. Un asse che ha ridato nuova credibilità ad una difesa immeritatamente vilipesa nelle stagioni scorse, ed ha saputo supplire alle carenze di un attacco meno competitivo, per diversi motivi, di quanto potesse apparire sulla carta.
Ora, a parte la finale di Coppa Italia col Napoli su cui i bianconeri si avventeranno con la famelica voglia di vincere dimostrata per tutta la stagione, comincia la cosa più difficile: riconfermarsi a questi livelli. Ma Antonio Conte sa come si fa: una disciplina che ha già praticato da giocatore e che ha dimostrato finora di saper trasmettere ai suoi ragazzi.
Complimenti, e buona fortuna.
Promosso solo il MILAN - JUVENTUS e NAPOLI in purgatorio
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Alla fine della fase a gironi delle due coppe europee, solo un pur traballante Milan è riuscito ad accedere agli ottavi di finale di Champions, mentre Juventus e Napoli hanno dovuto accettare a malincuore il declassamento all’Europa League. Due retrocessioni maturate in condizioni diverse: il Napoli dopo aver conquistato 12 punti in un girone di ferro con Borussia Dortmund e Arsenal, la Juventus per aver sottovalutato le prime uscite contro Kobenhaven e Galatasaray ed aver pagato a caro prezzo i punti dilapidati nella fase iniziale del girone. D’altronde i bianconeri di Conte devono recitare solo il <mea culpa> per non aver saputo concretizzare le prime due partite. D’altra parte non poteva certo pretendere di passare il turno con una sola vittoria su sei partite giocate. Sulle loro prestazioni e sull’esito del loro girone di Champions ha pesanto il lento inserimento di Llorente negli schemi della squadra e la <maledizione> che perseguita Carlitos Tevez, a digiuno di gol <europei> dal 7 aprile 2009, oltre alle difficoltà incontrate da Asamoah nell’interpretare i delicati meccanismi difensivi della squadra. Fortuna che hanno fornito un ottimo rendimento il solito Pirlo, il sempre più sorprendente Pogba ed il costante Vidal, oltre al generosissimo Chiellini ed all’immarcescibile Buffon.
Un verdetto amaro ma aderente ai valori visti in campo dunque, che deve far meditare sul livello cui è precipitato il nostro calcio. La crisi economica c’entra sicuramente. Noi non abbiamo – Juve a parte – società con lo stadio di proprietà e ricchi investitori arabo-russi disposti a sacrificare qualche briciola delle loro immense ricchezze. Ma gli errori li abbiamo commessi a monte, negli ultimi decenni, depauperando i nostri vivai, portando a livelli insostenibili il <gap> fra le formazioni giovanili e le prime squadre senza dare ai giovani la possibilità di maturare e di affermarsi. E ci siamo incaponiti con una Serie A a 20 squadre che intasa la stagione, toglie il respiro a tecnici e giocatori costringendoli a <tour de force> che impediscono di recuperare dagli infortuni e respirare fisicamente e mentalmente, con dirigenti che si prostituiscono davanti alle esigenze delle pay-tv che costringe le squadre a giocare in giorni ed ad orari assurdi per poter spalmare più pubblicità dentro le telecronache, e che poi si aggrappano istericamente agli errori arbitrali per giustificare gli errori di programmazione e il tradimento delle speranze e delle illusioni dei tifosi. Che poi esplodono in atti di violenza ingiustificabili e mal contrastati dagli stessi clubs e soprattutto dalle forze dell’ordine.
Un calcio allo sfacelo dunque che deve riorganizzarsi dalla base, dai settori giovanili, dalla professionalità dei suoi dirigenti, dai suoi impianti, dal clima che si respira dentro i suoi stadi. Se i nostri vanno a raccogliere consensi e successi all’estero (da Capello a Lippi, da Ancelotti a Zaccheroni, da Spalletti a Trapattoni, allo stesso De Biasi) vuol dire che qualcosa di buono in tempi passati è stato seminato. La generazione scorsa ha raccolto. Quella odierna sta trovando terra bruciata.
Per tornare alla stagione europea in corso, bisogna dire che la Champions ha fatto anche altre vittime illustri. Oltre a Juventus e Napoli hanno dovuto abbandonare la grande platea (e la ricca cassa) della Champions anche Benfica e Porto, Ajax e Shakhtiar Donetsk, Olympiqe Marsiglia ed altre squadre che nel recente passato avevano scritto pagine importanti del calcio europeo. L’auspicio è che le nuove elette riescano a sostituirle nelle potenzialità oltre che nelle ambizioni.
Salvatore Lo Presti
(postato il 12 dicembre 2013 sul sito: www.annuariodelcalciomondiale.eu)